Il brano di oggi è obbligato. 50 fa esatti Firenze diventava una gabbia di matti. Caroselli di macchine, bambini che sventolavano bandierine viola, adulti che sembravano ridiventati bambini. Sciarpe, cuscinetti, radioline che volavano per aria, canzoni da stadio, slogan ritmati, su tutte due parole che risuonavano senza posa: scudetto e campioni.
La radio aveva dato l’annuncio tanto atteso, e sospirato in silenzio fino a quel novantesimo minuto. «Qui Torino, risultato finale: Fiorentina batte Juventus 2-0, la Fiorentina è campione d’Italia».
Quella sera, l’inno era soltanto quello di Narciso Parigi. Canzone viola. Per esser di Firenze vanto e gloria. Il Rinascimento era tornato, i suoi artisti si chiamavano Superchi, Rogora, Mancin, Brizi, Ferrante, Esposito, Chiarugi, Merlo, Maraschi, De Sisti, Amarildo. Il signore era Nello Baglini, il condottiero – come una volta – era venuto da fuori: Bruno Pesaola detto el petisso.
E tutti cantavano così.
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