Musica

Forbidden Colours

David Bowie e Ryuchi Sakamoto

Molti europei trascorsero i giorni di Natale tra il 1914 ed il 1917 nelle trincee. Una condizione talmente tragica ed alienante da dar luogo a episodi straordinari come quello celeberrimo della tregua di Natale. La notte del 24 dicembre 1914 sul fronte di Ypres nel nord-est della Francia un plotone di inglesi ed uno di tedeschi decisero di affrontarsi in una partita di calcio, gioco che aveva fatto in tempo a prendere piede come estremamente popolare prima dello scoppio della Grande Guerra. Di quella partita non è noto il risultato finale, non ci è stato tramandato e tutto sommato non é la cosa più importante. Ciò che conta è che per mezz’ora circa, prima che i comandanti delle rispettive truppe riuscissero a riportarle in trincea e a porre fine a quella tregua sportiva autogestita, inglesi e tedeschi sostituirono il pallone al moschetto dimostrando che c’era un modo di confrontarsi sul campo molto meno drammatico e sanguinoso. Che la parola Natale, pur nel mezzo di quella inutile strage, poteva avere ancora un senso.

Nella generazione seguente, molti europei avrebbero trascorso invece i giorni di Natale compresi tra quello del 1940 e quello del 1944 nei campi di prigionia o di concentramento, sia nel loro continente che in Asia. Nella seconda guerra mondiale, le potenze dell’Asse Germania e Giappone avevano a disposizione mezzi tecnologici assai più devastanti, oltre che ideologie assai più totalitarie e spietate. Il mondo, almeno fino a Pearl Harbour, andò molto vicino ad essere spartito tra il Fuhrer di Germania e l’Imperatore del Giappone. Due divinità in terra a cui per lungo tempo soltanto l’Inghilterra aveva trovato il coraggio e la forza di opporsi.

Come film di Natale ambientato durante l’ultima e più terribile guerra mondiale, ci colpì molto quello diretto da Nagisa Oshima, eroe della nouvelle vague cinematografica nipponica che già aveva affrontato il tema scabroso per il suo paese del rapporto con il sesso in Ecco l’impero dei sensi, e che nel 1983 si confrontò con l’altrettanto delicato rapporto dei suoi concittadini da un lato con il militarismo e dall’altro con l’omosessualità.

David Bowie e Tom Conti

David Bowie e Tom Conti

Il film di Oshima si intitolava in lingua madre Senjō no Merry Christmas (Buon Natale sul campo di battaglia), ed in inglese Merry Christmas mr. Lawrence. Dove Lawrence era il colonnello che comandava il campo di prigionia inglese a Giava gestito appunto dai giapponesi. La storia aveva molte assonanze con quella girata da David Lean trent’anni prima e magistralmente interpretata da Alec Guinness: il Ponte sul Fiume Kwai. Lo scontro tra le culture così distanti, prima ancora che tra eserciti ai quali non era concesso di venire a patti, ma solo di vincere, per sopravvivere.

In italiano il film fu intitolato Furyo, che sempre in lingua giapponese significa prigioniero di guerra. Al posto che era stato di Alec Guinness fu scritturato il poco carismatico Tom Conti. Ma il casting indovinò il ruolo del protagonista effettivo del film. Quella volta (e non era la prima) David Bowie si prese la scena non cantando ma recitando. Il suo maggiore Jack Celliers è un archetipo dell’inglese a tutti gli effetti, così come Ryūichi Sakamoto lo è del giapponese. Due recitazioni splendide, che rendono appieno la portata e la drammaticità del conflitto sia generale che individuale.

Lo scontro di civiltà esplode quando al campo di prigionia si aggrega l’incursore (strafer, in inglese) Celliers dopo essere stato catturato. Il capitano Honoy (Sakamoto) oscilla tra il disprezzo che nutre al pari dei suoi commilitoni e concittadini per quei prigionieri, ovverosia soldati che hanno accettato la sconfitta e si sono arresi, e la passione omosessuale che divampa dentro di lui per il biondo e avvenente prigioniero.

YukioMishima201209-001Per un giapponese degli anni 40 essa era inaccettabile, disonorevole a sua volta, mentre l’unica via d’uscita dal disonore più grande, quello della sconfitta militare secondo l’etica sopravvissuta dal tempo dei samurai, era il suicidio, harakiri. Per un inglese, si trattava e si tratta invece di fatalità. Ci si arrende oggi per tornare a combattere domani, secondo uno spirito imbevuto di fair play nello stile di Rudyard Kipling e dei celebri versi della sua Se: imparerai a trattare vittoria e sconfitta, questi due impostori, allo stesso modo. Secondo la filosofia occidentale di cui Celliers è fieramente partecipe, ciò che conta è averci provato, come l’Ulisse che varca le Colonne d’Ercole ed il Lawrence d’Arabia che passa il deserto invalicabile perché è scritto nella sua testa che si può fare. Vincere o perdere sono due occorrenze casuali, e non c’è nessun disonore nella sconfitta quando si è dato tutto.

L’escalation che porta alla morte di Celliers a causa del trattamento sempre più duro inflittogli da un Honoy che ha paura soprattutto di se stesso e delle proprie pulsioni, è efficace nel renderci uno dei tanti aspetti dell’inutilità, della insensatezza della guerra e della bestialità di tutte le filosofie che la rendono utilizzabile come mezzo di risoluzione dei conflitti. Nel dialogo finale tra il sopravvissuto Colonnello Lawrence ed il capitano Honoy condannato a morte per crimini di guerra c’è tuttavia un appeasement che attinge troppo ad un relativismo culturale secondo cui nessuno di coloro che combattono è mai nel giusto.

Ryūichi Sakamoto e David Sylvian

Ryūichi Sakamoto e David Sylvian

Non è così, non esattamente, ci sentiamo di dire. Non era la stessa cosa stare dalla parte degli Alleati o da quella dell’Asse. Di quel finale salviamo solo gli auguri di Natale al momento del commiato. E ovviamente il maggior contributo dato da Sakamoto a questo film, oltre alla sua recitazione. Il brano principale della colonna sonora è Forbidden Colours, composto da lui ispirandosi alle parole del celebre scrittore giapponese Yukio Mishima che nel 1953 aveva pubblicato un racconto dal titolo omonimo.

Canta David Sylvian, pseudonimo di David Alan Batt, cantante, musicista compositore britannico, noto per essere stato frontman del gruppo musicale Japan e per la sua carriera solista, improntata ad una musica sofisticata e sperimentale. La sua voce riecheggia quella del nostro mai abbastanza compianto David Bowie, e questo ci rende il brano ancora più degno di essere ascoltato e inserito tra le nostre canzoni natalizie.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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