Nel 1914, una tragedia che montava da anni nei suoi presupposti maturò e precipitò nel giro di pochi giorni. Il 28 luglio scadde l’ultimatum dell’Austria – Ungheria alla Serbia, e cominciò quella che al principio sembrava l’ennesima guerra balcanica.
Ma c’erano alleanze consolidate da tempo. La Serbia si tirò dietro la Russia zarista, che si ritrovò contro la Germania del Kaiser e a fianco la Francia che cercava la rivincita di Sedan. La quale Francia si portò dietro l’Inghilterra, stretta a lei in amicizia dal patto denominato entente cordiale e poi Triplice Intesa. L’Italia in un primo momento rimase fuori, contentandosi di denunciare e non applicare nelle sue conseguenze militari la vecchia, innaturale alleanza con quell’Impero Asburgico contro cui tutto la spingeva, a cominciare dal sentimento di dover completare il Risorgimento nazionale con Trento e Trieste.
Il 3 agosto, la guerra balcanica diventò una guerra mondiale, allorché a scadere fu la volta dell’ultimatum anglo-francese agli Imperi Centrali. Il resto è storia, se ne parla da altre parti nel giornale. Qui dobbiamo scegliere un altro brano del giorno, dopo la mesta ballata dedicata da Fabrizio De André ai tanti ragazzi che come il suo Piero partirono per le trincee per non fare più ritorno a casa.
Generale di Francesco De Gregori ha una vena diversa, riuscendo a ritrarre lo stesso dramma dell’inutile strage con una melodia e delle parole che sottintendono ad ogni strofa la sua futilità e aprono in qualche modo alla normalità, gettando un occhio di speranza a quella conclusione del dramma che sarebbe arrivata oltre quattro anni dopo. Ma sarebbe comunque arrivata, anche se il mondo tornato in pace non si sarebbe più riconosciuto in se stesso. Profondamente cambiato, in un modo che nemmeno dalla collina più alta del fronte carsico il Generale – o chi per lui – avrebbe potuto scorgere e capire.
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