Ryan O’Neal nei panni di Barry Lyndon
Per tutto il Settecento Voltaire ed i philosophes parigini avevano setacciato le corti d’Europa, alla ricerca del principe illuminato che seguisse finalmente i dettami della ragione e mettesse fine nella legislazione a barbarie e superstizioni medioevali. Di volta in volta, avevano creduto di individuarlo nella grande Caterina di Russia, nella grande Maria Teresa d’Austria, nel grande Federico di Prussia. Tutte figure di spicco, tutte animate da spirito riformatore e proiettate verso un futuro di maggiore modernità ed efficienza per i propri stati.
Tutti ottimi candidati, ma non bastava. Ci voleva qualcosa di più. La riforma epocale, il cambiamento eclatante, la fine innegabile dei Secoli Bui. Il principe destinato a passare alla storia come il più illuminato del Secolo dei Lumi non si palesò alla fine nelle corti più grandi, sfarzose, prestigiose. Uscì allo scoperto in quella che al termine del XVIII° secolo poteva considerarsi una corte di provincia, malgrado un tempo fosse stata la capitale del Rinascimento, il centro del mondo civile, il faro della cultura.
Firenze al tempo dei primi Lorena era una città capoluogo di una regione entrambe le quali dovevano riprendersi ed inventarsi un futuro, dopo il periodo d’oro dei Medici i cui ultimi discendenti peraltro lo avevano fatto abbondantemente dimenticare. Il granduca Pietro Leopoldo era il nono figlio dell’Imperatrice d’Austria Maria Teresa d’Asburgo e di quel Francesco di Lorena che aveva prima sposato e poi elevato alla corona granducale, conferendogli il feudo che dopo la scomparsa dell’ultimo erede della dinastia medicea investita a suo tempo da Carlo V era ritornato al legittimo proprietario, il Sacro Romano Impero di cui gli Asburgo erano signori.
Pietro Leopoldo era un illuminista, seguace di Voltaire e di Beccaria. Fece di Firenze e del Granducato una piccola Austria, amministrata come poi non lo sarebbe stata mai più. Mentre nel resto d’Europa le illusioni riformatrici cedevano il passo ai primi fermenti rivoluzionari (Lafayette aveva appena riportato dal Nord America il ringraziamento delle ex colonie inglesi ribellatesi con successo alla Madrepatria e diventate gli Stati Uniti d’America, insieme ai documenti che attestavano la fine del diritto divino), Pietro Leopoldo, primo Granduca di Toscana del suo nome, prese la storica decisione di abolire la più barbara delle sanzioni che un governo può infliggere ai propri cittadini: la pena di morte. Mancavano solo – ma nessuno ancora lo sapeva, se pure lo presentiva – tre anni soli alla Rivoluzione Francese. Il 30 novembre del 1786 il Lorena e la sua Toscana entrarono per sempre nella storia.
Quattro anni dopo, Pietro Leopoldo fu richiamato a Vienna dalla mancanza di eredi Asburgo, perché degli otto fratelli e sorelle nati prima di lui dal grembo di Maria Teresa non ne era sopravvissuto neanche uno. Il sovrano più illuminato che ci fosse divenne Leopoldo II, ma non poté traferire nell’Impero la sua saggezza perché nel frattempo la Rivoluzione Francese era scoppiata, e le corone d’Europa si trovarono d’improvviso alle prese con un soggetto molto meno illuminato, ma assai più determinato: il popolo.
Questa è la grande storia della nostra civiltà, all’epoca di uno dei suoi secoli chiave: il Settecento. Cercavamo un brano che rendesse alla perfezione quell’epoca di lumi e di barbarie, di eleganza sfarzosa e di atroce miseria, di teste coronate e di teste ghigliottinate, di diritti divini e di volontà delle nazioni.
Lo abbiamo trovato nella colonna sonora del film che a nostro giudizio ha meglio rappresentato quell’epoca, visivamente parlando. Barry Lyndon fu uno dei capolavori di Stanley Kubrick, che aveva in mente da sempre il Settecento come epoca ideale in cui ambientare la sua visionarietà e la sua capacità di renderla al meglio con il cinema. Doveva essere un film su Napoleone, interpretato da Jack Nicholson, e non sapremo mai come sarebbe stato perché per vari motivi non ne fece poi di nulla. Ripiegò sull’avventuriero protagonista del romanzo di William Makepiece Tackeray, affidato alal recitazione di un Ryan O’Neal pressoché perfetto nella parte.
Il film ebbe successo di critica ma non di pubblico, e non capiremo mai perché. E’ Kubrick al suo meglio, è il cinema e la storia insieme, come ce la siamo tutti immaginata. Ed è anche la musica ai massimi livelli, Georg Friedrich Haendel, la Sarabande che ci cala subito nel cuore dell’azione, sui campi di battaglia dove le Giubbe Rosse affrontavano gli Ulani del Re di Prussia nella Guerra dei Sette Anni, pochi anni prima che un principe austriaco naturalizzato toscano mostrasse al mondo che un governo può anche essere un qualcosa di civile.
«Mi ha sempre attirato un film in cui il destino del protagonista è già inciso sul primo fotogramma, e non ne avevo ancora fatti, quindi questa fu l’occasione migliore»
(Stanley Kubrick)
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