John Lennon non era il più simpatico dei Beatles. Il più carismatico, forse sì. Quello che aveva saputo accreditare di sé l’immagine più artistica, più impegnata, prima e dopo la band. Quello che aveva sfidato addirittura l’F.B.I., o peggio ancora la mitologia consolidata presso i fans di tutto il mondo, preferendo Yoko Ono agli altri tre ragazzi di Liverpool.
No, John Lennon non era una persona piacevole, e forse non poteva esserlo. Avendo sofferto da ragazzo la mancanza dei genitori, tendeva a vendicarsi della sua sofferenza sul resto del mondo anche da grande. Gli riusciva meglio un gesto inteso a ferire piuttosto che uno ad esprimere affetto.
Un disadattato, forse uno spostato, un bastardello velenoso e pieno di sé, ma di gran talento. Non era il solo ad averlo, tra i Beatles, ma di sicuro fu quello che lo seppe vendere meglio.
E poi…. Muore giovane chi è grato agli dei, dice un detto antico come la nostra civiltà. E finisce per essere ancora più grato ai suoi fans, aggiungiamo noi. Quando Mark Chapman gli sparò quei colpi all’ingresso del Dakota Building, uccise un uomo e creò una leggenda. John non ebbe tempo di invecchiare, così come non l’avrà mai la sua musica.
C’é un brano in particolare che noi tutti associamo a lui. John Lennon per antonomasia. E’ a nostro giudizio la sua canzone più bella, quella che ha espresso i concetti più nobili e condivisibili. Quella che, per farla breve, musicalmente ha colpito più nel segno.
John Lennon è Imagine. Imagine è la storia della nostra adolescenza, del nostro mondo di allora e di quello che sognavamo di vedere un giorno al suo posto.
La versione che proponiamo è quella che fa da colonna sonora ad uno dei film più belli degli anni 80. E’ dell’84, pochi anni dopo che Lennon era passato a miglior vita. Era salito su un’altra macchina, secondo la definizione della morte che lui stesso aveva dato un giorno ormai lontano.
The Killing Fields, Urla del silenzio, era la storia della tragedia cambogiana causata dalla vittoria dei Khmer rossi nel 1975. Sam Waterston, ancora lontano dai successi televisivi nella franchise Law and Order, interpretava il corrispondente del New York Times Sidney Schamberg, incaricato dal suo giornale di seguire gli ultimi giorni del regime di Lon Nol a Pnom Pehn e l’avvento di quello di Pol Pot. Haing S. Ngor era Dith Pran, la sua guida cambogiana che al momento di scappare con l’ultimo elicottero non può salirvi e deve rimanere indietro, destinato a vivere nei tre anni successivi la tragedia del suo popolo sotto il più bestiale dei regimi comunisti che si ricordi.
Le scene finali del film sono quelle di Sidney che riabbraccia Dith nel campo profughi della Thailandia in cui il cambogiano è riuscito ad arrivare. E’ una scena che chiude la gola agli spettatori per la commozione e che ripaga della tensione e dell’orrore sofferti per tutta la durata della pellicola. E’ una scena bellissima, e non sappiamo francamente immaginarla più bella senza il sottofondo della voce di John Lennon che canta Imagine.
La scena che probabilmente anche lui aveva in mente quando compose questa canzone.
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