Calcio

L’anno che lo scudetto lo vinse il Covid

Rissa sfiorata tra Gattuso e la panchina laziale. Finisce così il campionato del Covid. All'anno prossimo.

Rissa sfiorata tra Gattuso e la panchina laziale. Finisce così il campionato del Covid. All’anno prossimo.

Finisce, se Dio vuole, il campionato più lungo della storia del calcio italiano. Quello che tutti ricorderemo per la lunga pausa imposta dall’emergenza sanitaria e che alla fine della quale forse non era neanche il caso di riprendere. Nell’albo d’oro, dopo gli otto titoli assegnati alla Juventus, avrebbe dovuto essere iscritto il nome Covid, l’unico vero dominatore del girone di ritorno.

Ma la televisione aveva esaurito le repliche e aveva bisogno di riempire i palinsesti con qualcosa che tornasse ad assomigliare al calcio giocato. Ecco dunque questa strana estate con le partite ogni tre giorni, gli stadi vuoti, i giocatori che stralunati si aggirano sull’erba verde con la faccia di chi pensava e si sentiva di essere già in vacanza.

Vince il nono titolo la Juventus, che anche quest’anno non ha trovato avversari all’altezza e che non è neanche in testa alla speciale classifica delle squadre aiutate dalle sviste arbitrali. Lì è primo il Genoa, che anche quest’anno si salva all’ultima giornata, ma stavolta almeno deve giocarsela, approfittando di un Verona che comunque non si danna l’anima. Non se la danna del resto la stessa Juve, che dopo la matematica certezza del nono scudetto sbraca vistosamente, beneficiando tra l’altro una Roma che, come i dirimpettai della Lazio, aveva bisogno del quinto posto e della Coppa europea per i noti motivi erariali. Della Fiorentina parliamo a parte, il resto è tutto come al solito. Valeva la pena oltraggiare con simili circenses tutti coloro che nel nostro paese stentano a rimettere sulla tavola il panem dopo il lungo lockdown selvaggio imposto dal nostro governo?

Fine delle trasmissioni, tanto tra un mese o poco più si ricomincia. Il tempo a disposizione per rimediare agli errori di mercato e presentarsi alla prima giornata della prossima stagione in condizioni più dignitose è veramente poco. Sarà comunque un campionato surreale anche il prossimo, almeno all’inizio. Stadi vuoti e abbonamenti tv imperterriti e salati come sempre, la voce dei giocatori in campo che non sentivamo più dai tempi delle nostre partitelle dopo scuola, a sostituire il boato della folla dagli spalti. E se dalla panchina laziale danno del terrone a Gattuso, lo senti forte e chiaro, così come senti forte e chiaro la replica di Ringhio, o hai sentito bene giorni addietro i commenti di Mihajlovic al «rigore che danno solo alla Juve» o al dito medio sollevato da Gasperini verso la panchina avversaria. Ordinaria amministrazione, che però adesso puoi seguire dal vivo fin nei dettagli come nella casa del Grande Fratello. E non è finita. Chissà quante volte ancora Iachini dirà all’arbitro di «andarsela almeno a rivedere al Var» nella prossima stagione.

Siamo un popolo che può fare a meno di tutto, che si adatta a tutto, subisce tutto. Ma senza calcio proprio non ci può stare. La serie A 2020 è ripartita quando ancora il paese non aveva un abbozzo di progetto per la ripresa economica. La serie A 2021 ripartirà quando ancora con ogni probabilità non avremo idea di dove mandare a scuola i nostri figli a settembre, e non sapremo dunque se essere contenti o meno che la nostra azienda riapra i battenti, non avendo ben chiaro dove lasciare il figliolo la mattina. I nonni, teoricamente, nella prossima stagione non vanno nemmeno in panchina.

Sarà una breve estate da rimandati a settembre quella che ci resta davanti. Non vedevi l’ora che finisse, sapendo che comunque dopo ti aspettavano noiosissimi autunno ed inverno. E poi, come nella canzone di Renato Zero, tutto come prima. Il decimo scudetto alla Juve, l’inutile Var che per gli amici si interpreta e per i nemici si applica, e su tutto la consapevolezza che come succede per altri settori della nostra vita improvvisamente diventata complicatissima, il calcio migliore è quello che ormai abbiamo dietro le spalle.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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