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Non avrai altro avatar all’infuori di me

La neve riduce tutto all’essenziale. Tutto diventa bianco. Tutto diventa silenzioso. Tutto diventa soffice. Tutto diventa freddo, ovattando ed infine escludendo ogni altra nostra sensazione.

Tutto diventa importante, perché quello che non è importante sparisce, non c’é più. Sulla neve puoi seguire le tracce della vita, e la vita può seguire le tue. La vita diventa un gioco di sopravvivenza.

Sulla neve, tu sei la vita. Il respiro del mondo si ferma. Senti soltanto il tuo. Ti accorgi di respirare. Di essere ancora vivo.

Sulla neve, sei soltanto tu a decidere se vivere ancora o no.

La neve mette ordine nei tuoi pensieri, eliminando quelli che non servono ad affondarvi dentro un passo dopo l’altro, per ritornare a casa.

La neve, dopo qualche passo, ha la facoltà di sembrarti la tua stessa casa, da sempre. L’unica che hai conosciuto.

Al mondo colorato di bianco dalla neve, ridotto al silenzio primordiale, non puoi fare altro che dire la verità. Su te stesso. Su quello che sei disposto ad incontrare e ad affrontare, prima che i tuoi passi ritrovino la pista che porta a casa.

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So che c’é da diversi minuti, prima di vederlo. Lui mi ha visto fin da quando sono entrato nel suo regno, nel suo ambiente. Prima ancora, lui mi ha sentito. Ha saputo che c’ero. Chi ero. Lui ha già stabilito se sono un nemico, una preda, un suddito del suo regno che vale la pena di lasciare in vita.

Altrimenti, se così non fosse, mi sarebbe stato già addosso.

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Crediamo di aver preso possesso di questo mondo. Di dominarlo. Basta uscire di casa, fare qualche passo lasciando sul terreno tracce che non siamo capaci di cancellare, con tutta la nostra tecnologia, e ci rendiamo conto che siamo i più deboli tra gli esseri viventi.

Non abbiamo zanne, artigli, forza, abilità. Qualunque animale al nostro cospetto è un predatore. Qualunque animale ci permette di sopravvivere semplicemente perché non gli serviamo, perché ha già mangiato, perché il suo interesse è altrove. E noi crediamo di averlo spaventato, ridotto alla sottomissione, messo in fuga.

Qualunque animale rimpiangerà, prima o poi, di non averci mangiato. Della sua magnanimità di un giorno passato non ci ricorderemo, quando la nostra superbia riprenderà vigore e la tecnologia ci consentirà di far pari con zanne ed artigli.

Ma lui ci sentirà sempre arrivare, prima.

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So che c’é, ma non so chi è. O cosa è. So solo che questa è casa sua, sono io il forestiero, l’intruso. So che la neve qui riduce le mie possibilità, non le sue. Mi sento i suoi occhi addosso. Sono fuori della mia giurisdizione, ma qual é la giurisdizione dell’uomo? C’é un posto su questo pianeta che ricada effettivamente sotto la sua giurisdizione? Il suo reale ed assoluto potere?

Un posto dove noi siamo realmente a casa, di nostro buon diritto?

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Il mio respiro si è fatto affannoso. Stranamente, non ho paura. Sono stanco, sì, i miei passi affondano nella neve alta con sempre maggior fatica, non ho la leggerezza di chi è nato in mezzo a questa natura. Di chi ci sopravvive dentro da sempre, al suo meglio.

Sono stanco, ma impaurito no. Chiunque mi tenga d’occhio, se mi avesse detestato o giudicato come ostile a quest’ora mi avrebbe già fatto a pezzi. Sarà anche che forse neanche mi importerebbe. Al punto in cui sono, tornare nella catena alimentare in un punto qualsiasi mi starebbe anche bene.  Sarebbe comunque far parte di qualcosa. Peggio dei miei simili, in ogni caso, non c’é nessun altro che possa trattarmi.

Forse è per questo, con questa consapevolezza, che mi sono spinto così in alto, così fuori del mio habitat, così dentro quella tormenta di neve. In questo mondo così bianco e silenzioso, e così diverso da quello che credevo essere il mio.

Questi occhi che mi sento addosso sono come un test. Malgrado sia sepolta sotto abiti invernali, la mia anima si trova impietosamente messa a nudo. Qui non posso mentire a niente e a nessuno, nemmeno a me stesso.

Qui avverto un pericolo, che forse neanche c’é. Nel mondo da cui provengo ormai siamo sempre in pericolo, soprattutto da quando la razza umana si è rivoltata contro se stessa. Solo che non lo avvertiamo, non ce ne accorgiamo finché non è troppo tardi, e ce l’abbiamo addosso.

E allora, cos’è che avverto realmente? Forse il pericolo sono io stesso, me lo porto dentro. Forse ho i nervi scossi, e questa natura regredita al suo stato primordiale non è ancora riuscita a farmeli distendere.

Questi occhi che mi sento addosso….. non so neanche se esistano realmente. Nel mondo da cui provengo ho visto forse troppi film. Quello più brutto, scadente, senza mai un confortante lieto fine, è quello in cui lo spettatore si accorge, poco prima dei titoli di corda, che la belva più pericolosa, letale, è quella che ha le sue stesse fattezze.

C’è una creatura uomo dietro questi occhi che mi osservano? Se così fosse, l’avrei già avuto addosso, a prescindere che abbia fame, mi percepisca come un pericolo, mi detesti come appartenente ad una specie nemica. L’avrei addosso soltanto perché l’uomo fa così. Quello che si muove nei suoi dintorni, lo uccide. Spesso o quasi sempre per un qualche piacere di farlo.

No, non sono occhi umani quelli che mi stanno scrutando, ammesso che esistano realmente.

Alla fine capisco una cosa essenziale. Non importa che mi scervelli sul loro dove, come, perché. Quando sarà il momento – e non sarò io a deciderlo – si materializzeranno. E allora capirò tutto.

Tanto vale che al presente mi goda ogni istante di quelli che sto vivendo. Dopo tutto sono ancora vivo, e non é scontato. Non lo é mai stato, qui o altrove. Anche se nelle favole volevano farci credere il contrario.

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Li sento presenti, penetranti, magnetici. E vicini.

Non c’è stato alcun rumore attorno a me, alcun cambiamento dell’ambiente circostante, un qualche impercettibile battito di ciglia dell’universo e dell’eternità.

Un attimo prima non c’era nulla nei paraggi, un attimo dopo c’é. Lo percepisco, è una presenza imponente, padrona, anche se non modifica, non altera in alcun modo il suo ambiente durante il suo passaggio.

Sono come un peso che grava sulle mie spalle, senza sfiorarle, questi occhi. I miei ancora non scorgono nulla, ma il sesto senso che mi viene in eredità da creature ancestrali più consapevoli di me, loro inabile erede, mi dice appunto che altri occhi sono qui. Adesso. E loro mi vedono eccome.

Mi giro lentamente su me stesso. Dapprima non noto nulla di diverso, nella parte di mondo che finora è rimasta alle mie spalle.

Poi li vedo. Hanno il colore dell’ambiente che li circonda, anche se in realtà è la luce bianca che colora tutto a riflettersi su quel giallo-verde pallido particolare. Al pari del corpo che li ospita, sono mimetici. Li vedi soltanto dopo un bel po’ che guardi nella loro direzione. Quando poi li vedi, finalmente, dopo non sei più capace di volgere lo sguardo altrove. Ti tengono avvinti a sé, come il più potente dei magneti.

Il lupo è lì. A pochi metri da me. Forse è sempre stato in quel punto, o forse era poco più in là, quanto bastava per tenermi d’occhio. I suoi occhi hanno la profondità ed il colore del controllo assoluto. Dell’assenza di emozioni. Dell’immensità che padroneggiano. Il lupo è il re di questa foresta primordiale sepolta dalla neve. E lo sa.

I suoi occhi mi tengono inchiodato. E per quanto possa in teoria anche essere l’ultima che potrei provare vivendo in questo mio corpo mortale, non è una sensazione spiacevole. La natura, quando si manifesta attraverso una creatura come questa, attraverso occhi come questi, ha un che di equilibrato e di incommensurabile che ci riconcilia con quella parte di noi che abbiamo perso, da cui ci siamo distaccati credendo di crescere.

Il lupo è la mia anima. I suoi occhi non mi minacciano. Mi chiamano. Sono l’antenna ed il microfono di un potente trasmettitore, che mi ripete una storia che avrei dovuto conoscere a memoria. Una storia che viene da lontano, dal tempo in cui questo lupo ed il mio antenato erano compagni di caccia in questa landa dove adesso sembrano non esserci prede. In realtà ci sono, ma sono tutte immobili, intente ad osservare il signore della foresta e l’essere che sta osando sfidarlo.

E’ suggestione mia o sento veramente il ringhio sommesso che fa vibrare quella poca aria che annulla la distanza tra lui e me, prima di penetrare nei miei affannati polmoni?

Il lupo non ringhia, né emette rumori d’altro genere. E’ immobile, non ha motivo di muoversi, non lo fa. Non ha motivo di comunicarmi niente, e non lo fa se non con quel suo paio di occhi dentro cui adesso vorrei perdermi.

L’unica mia casa ancestrale, improvvisamente.

Realizzo che la scena sarebbe comunque la stessa, se vista da fuori da uno spettatore estraneo, sia che il lupo intendesse attaccarmi sia che decidesse di lasciarmi perdere. I suoi occhi valutano, registrano, e alla fine dicono l’essenziale.

C’è un detto indiano, con tutti gli esseri e con tutte le cose noi saremo fratelli. Ricordo il poster che avevo in camera da ragazzo, sopra queste parole c’erano gli occhi di un lupo, occhi simili a questi. Anche quelli erano occhi parlanti. Dicevano anch’essi l’essenziale. Stava a me capirlo, ed accettarlo. A quella condizione, il lupo avrebbe voltato la testa e ripreso il suo percorso di vita primordiale, lasciandomi in pace e rubricandomi come creatura non nociva ed anzi forse addirittura di una qualche futura utilità.

Quelli che ho di fronte adesso luccicano e parlano allo stesso modo. No, non è un improvviso raggio di sole ad accenderli, ma l’altrettanto improvvisa consapevolezza che io ho capito. Che può darmi la schiena ed andarsene senza correre rischi. Che forse un giorno ci rivedremo, e sarà un incontro tranquillo, forse perfino un bell’incontro, come lo è stato questo di oggi.

Nell’attimo in cui il lupo si gira e se ne va, interrompendo il contatto dei nostri sguardi, mi sembra di aver perso il Paradiso Terrestre. La mela di Eva non era poi davvero così succosa, se adesso io mi sento orfano di una creatura incrociata per pochi minuti e proveniente dall’estremo opposto al mio nella girandola dell’evoluzione.

Come retine impresse dai raggi del sole, i miei occhi porteranno a lungo l’immagine impressa di quelli del lupo. La mia anima farà altrettanto, anche dopo che la luce dentro e fuori di essa si sarà spenta da tempo.

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Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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