Musica

Running on empty

Fu Carlo Massarini, storico conduttore radiofonico RAI, a coniare per lui il vezzeggiativo di fratellino. Clyde Jackson Browne non aveva una voce che si imponeva di prepotenza come quella di Bruce Springsteen, che ti portava via con sé in una cavalcata travolgente come quelle di Crosby, Still, Nash & Young, che ti stanava fuori di casa spingendoti irresistibilmente a guardare a ovest e a sognare di partire subito senza più fermarti, non prima almeno di aver raggiunto quella lontana terra promessa a nome California, come quelle degli Eagles.

No, il fratellino aveva una voce tutta sua, anche un po’ troppo delicata per un rocker, se si vuole. Ma adattissima a stabilire un rapporto di intimità personale con ogni ascoltatore. Massarini, una volta di più, aveva battezzato bene l’ennesima sua scoperta, proposta al pubblico dei nottambuli di Radio2.

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Jackson Browne era uno di quegli americani nati all’estero dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1948 il padre era di stanza ad Heidelberg, nella Germania sconfitta ed occupata. Tornato in patria, alla fine degli anni sessanta, come avrebbe cantato un giorno nella sua canzone forse più celebre, era già sulla strada giusta, quella tracciata per la sua e nostra generazione da Jack Kerouac.

«– Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati»

– Dove andiamo?

– Non lo so, ma dobbiamo andare».

(Jack Kerouac, On the Road)

Sulla strada ci si mettevano in molti allora. Le parole d’ordine erano Route 66, West Coast, Easy Rider. Molti non arrivavano, si fermavano prima, illusi di aver incontrato troppo presto il paradiso per il tramite di qualche sostanza strana, e comunque tutti in fuga da una chiamata alle armi a cui in pochi desideravano rispondere in quel momento. Che ce la facessero o no, tutti ci provavano, o sognavano di farlo, sospinti da una colonna sonora che nel suo insieme rappresenta forse il punto più alto raggiunto dalla moderna musicalità.

In quella colonna sonora, il giovane Browne ebbe la sua parte di voce in capitolo fin da subito, scrivendo testi per Eagles (è sua Take it easy, per dirne una), Byrds e altre formazioni. Finché non si rese conto di poter scrivere per se stesso, conquistandosi la sua fetta di sogno americano riadattato ai tempi.

JacksonBrowne190627-002Quando uscì nel 1977 il suo LP Running on empty, un album live registrato durante il suo tour americano di quell’anno, Jackson Browne ne aveva già pubblicati altri 4, mettendo d’accordo critica e pubblico. L’album conteneva 10 canzoni, tra le quali la prima è quella che gli dà il titolo e che vi proponiamo oggi. Correndo sul vuoto, il manifesto di una generazione – quella post ‘68 – che non sapeva dove andava, ma sapeva soltanto che doveva andare, non poteva fermarsi, doveva restare sempre in movimento, o si sarebbe in qualche modo perduta.

«Nel ’65, avevo 17 anni e facevamo le gare con le macchine. Adesso non so dove correre sto solo correndo nel vuoto (…..) Nel ’69 a 21 anni la strada era la mia casa, Non so come è capitato che quella è diventata la strada dove ora sto proseguendo».

Un album, dieci canzoni, dieci capolavori.

People stay, just a little bit longer….please, please….. Stay…..

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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