Nati negli anni cinquanta-sessanta. Siamo l’ultima generazione che ha sognato, fantasticato sulla carta stampata. Babbi, mamme, nonni, a Natale o al compleanno ci regalavano spesso un libro, convinti (a ragione, col senno di poi) di perpetuare un rito antico: quello della trasmissione della cultura, il migliore dei doni che un essere umano può ricevere dai suoi familiari. La presa di coscienza di ciò che siamo noi e ciò che sono stati loro, i nostri vecchi, prima di noi. L’unica ricchezza che non ci può essere rubata, da nessuno.
Ma in quei giorni arrivava nei nostri salotti la scatola magica: la televisione. Quell’oggetto che noi davamo per scontato, non avendo fatto a tempo a vedere com’era il mondo senza. E che i nostri vecchi invece veneravano nei primi tempi come un qualcosa di magico. Anche loro avevano fantasticato sui libri, ma in un tempo – appena pochi anni prima, tutto sommato – in cui le scatole magiche erano frutto soltanto di fantasia a briglie sciolte e la massima concessione al fantastico erano i fumetti.
A noi andava diversamente. C’erano i libri, dalle copertine luccicanti e ben disegnate. C’erano i fumetti, inchiostrati da maestri del colore e del disegno che nulla avevano da invidiare a volte ai grandi artisti. Ma c’era anche quella scatola, dove le fisionomie e le gesta di pirati, arcieri di Nottingham, eroi del Far West venivano proposti in irresistibile alternativa a quelli che la nostra mente immaginava fervidamente, mentre i nostri occhi scorrevano le righe e le pagine avventurose di carta.
La televisione era destinata a vincere, perché metteva insieme al meglio i sogni e le fantasticherie di tutti. I libri sarebbero rimasti nelle nostre librerie, come parenti ed amici un po’ attempati, quasi superati. La Freccia Nera sarebbe scoccata per noi dopo Carosello, Robin Hood avrebbe combattuto i Normanni e Rin Tin Tin banditi ed apache in quella mezz’ora fatidica che ci veniva concessa al pomeriggio in uso esclusivo davanti alla scatola magica: La TV dei Ragazzi.
Eccezionalmente, venivamo ammessi alle favolose magie della TV dopo cena il sabato sera, perché l’indomani non c’era scuola e babbo e mamma avevano la nostra stessa voglia di vedere come andava a finire l’ultimo sceneggiato: se il Segno del Comando sarebbe stato trovato alla fine della lunga caccia per le strade di Roma, se il commissario Maigret o il tenente Sheridan avrebbero risolto l’ultimo difficile caso, e se perfino la storia più famosa, più emozionante, più condivisa tra grandi e piccoli, Le avventure di Pinocchio, avrebbe avuto ancora il finale che Collodi aveva dato alle stampe tanto tempo prima o se qualcosa di diverso sarebbe uscito dallo schermo a solleticare la nostra fantasia.
In quelle sere, i nostri genitori ritornavano bambini come noi, ed erano indulgenti nel lasciarci violare la regola altrimenti ferrea e fatale di Carosello. Gli altri giorni ci contentavamo con la mezz’ora, poi diventata ora, poi allungatasi sempre di più, che ci veniva concessa se avevamo fatto i compiti e ci eravamo comportati bene, a scuola e a casa.
Era un’Italia molto più semplice, ingenua, anche fragile nelle sue strutture emotive e sociali. E infatti non avrebbe retto al tempo, al pari dei programmi di una RAI che allora meritava davvero il nome di servizio pubblico. A noi allora bastava, dopo la sigla, la comparsa di quel fulmine che terminava in quella zeta, e quella musica che avevamo imparato a memoria e che ci inchiodava di colpo al nostro mondo dei sogni collettivo.
Comunque fosse andata la nostra giornata, Zorro arrivava sempre a fare giustizia di tutto, alle cinque spaccate del pomeriggio.
Restate con noi, prossimamente, ed i vostri sogni di bambini cercheremo di farveli rivivere tutti.
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